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lunedì 25 febbraio 2013

DOSSIER TAV di CLAUDIO CALIA


DOVEVI RESTARCI FULMINATO, SU QUEL TRALICCIO

no-tav
Con questo post torno, dopo una lunga pausa, a parlare di opere e autori italiani. Avevo cessato di occuparmi di produzioni di questo tipo parecchio tempo fa, ai tempi della prima incarnazione di Malpertuis, quindi si parla di anni fa, non ho idea se in seguito alla presente occasione se ne presenteranno altre o meno, sono però sicuro che se ci saranno si tratterà, come per il resto delle opere di cui scrivo sul blog, di considerazioni positive.
Servono alcune premesse per parlarvi di Claudio Calia e del suo Dossier TAV, ma definirle tali è probabilmente sbagliato: così come Claudio ha scelto di entrare in prima persona nella sua narrazione, anche io sento inadatta la formula fredda della “recensione”, per scrivere la quale comunque non avrei sufficienti conoscenze o autorità (e infatti non sono presenti recensioni su Malpertuis) e parimenti non mi soddisfa l’idea di una intervista tradizionale, con le solite quattro o cinque domande piazzate come altrettanti assist all’autore che deve far conoscere la sua opera.
Ho scelto quindi una via ibrida, un tentativo di dialogo e narrazione all’interno del quale essere talvolta più presente, vuoi perché non è possibile la neutralità (né la cerco), vuoi per tentare di slegarmi un minimo dalle formule più abusate, vuoi ancora per presentare meglio e più a fondo l’autore e il rapporto che a lui mi lega: spero che questa soluzione possa interessarvi.
Voglio scusarmi ora, a inizio post, per come e quanto mi dilungherò in seguito: il mio più caro amico mi ha fatto notare, qualche tempo fa, come alcune parti di questi miei post (di solito quelle collegate alla sfera personale) risultino pesanti e di scarso interesse, nota che mi è servita molto e mi ha portato a tagliare alcuni segmenti in vari interventi, ma trovo che in questo caso tagliare significherebbe andare contro all’idea stessa alla base di questo scritto. Quindi mi scuso: essere sintetico non è nella mia natura se non quando mi viene richiesto in ambito lavorativo.
Ho conosciuto Claudio Calia nel 2009, tramite un suo racconto contenuto nell’antologia horror La Sete, edita da Coniglio Editore.
Non è stato un incontro “piacevole”: al tempo pensavo fosse possibile rapportarsi in modo critico con la scena horror italiana (siti, film, fumetti, romanzi e racconti, forum…) ed era mio convincimento che la maturazione di una scena dovesse per forza passare attraverso un serrato confronto critico che puntasse a identificare le idee deboli, i metodi fallaci e i meccanismi deleteri, onde intervenire e migliorare la qualità generale della produzione, non essendo in grado (o, se riuscite a crederci, interessato) di produrre mia narrativa o mio cinema.
Interpretare in sostanza la figura del poliziotto cattivo, visto che di quelli bravi era già piena la Rete.
Ricordo piuttosto bene quell’antologia: avevo portato, per ogni racconto criticato, un buon numero di esempi ed estratti ma non ci fu nulla da fare, nel giro di pochi commenti si sprofondò nella consueta rissa elettronica, con parecchi detrattori che, attirati dall’odore del sangue, hanno contribuito al macello.
Non mancarono, ovviamente, anche quelli che godno nel leggere le stroncature.
3BeccoGiallo_Dossier TAV LOWRES_Page_54
Fu un periodo (durato alcuni anni e iniziato ben prima di allora) per me pessimo: non esistevano (a mia memoria, quindi significa poco o nulla) siti e blog che attuassero questo tentativo critico, le recensioni di prodotti autoctoni erano sempre generalmente positive o, quando proprio andava male (o bene, forse), si riducevano a neutre riproposizioni di sinossi e poco più e mi è sempre sembrato che certo generico entusiasmo, condito da scambi di favori vari, facesse più male che bene alla scena.
La mia attitudine, per contro riceveva come risposta un backfire di notevole intensità nel quale si passava quanto prima alla consueta modalità retorico-dialettica di spostare l’attenzione dall’opera criticata alla mia persona, con esiti spesso spiacevoli.
Questa continua ripetizione e ricezione mi ha in definitiva spinto ad abbandonare determinati ambienti, in quanto avvertivo una mancanza di prospettive ed evoluzione.
Periodici controlli della “scena”, che continuo a operare ancora adesso sebbene con minore frequenza, mi fanno capire che persiste una completa, totale assenza di critica negativa.
In definitiva la Storia ha dato ragione a loro e torto a me: le antologie horror proliferano, nuovi editori pubblicano, c’è molto fermento a livello di cortometraggi di genere, si parla di una rinascita dell’horror italiano ecc ecc, segno che una tendenza allo scambio di segnalazioni acritiche, alla diffusione di incondizionato ottimismo e di like reciproci conviene a tutti e porta a una maggiore produzione.
Il dato quantitativo prende il sopravvento su quello qualitativo e tutti sembrano contenti, ancora più di qualche anno fa.
Se la Storia ti mette in torto ci sono genericamente due possibili reazioni: ammettere questo tuo torto alla luce dei fatti o negarlo, magari dando la colpa ad altri: invisibili persecutori, cattivoni che tramano nell’ombra contro di te.
Non sono abituato a dar la colpa ad altri, quindi avevo semplicemente torto marcio: la scena è viva e vegeta e il massimo che posso fare, non considerandola qualitativamente interessante, è evitarla visto che l’altro tipo di approccio è fondamentalmente sbagliato, mi crea disagio e non fornisce risultati.
Vorrei, più di tutto, che sia chiaro che nel dire questo non sono minimamente sarcastico o malizioso: credo sia un grave difetto non comprendere i meccanismi che muovono un dato ambiente e continuare a operare in contrasto con essi, avrei dovuto abbandonare il tutto ben prima. Non si può entrare in un bar, per dire, sede di un club del Milan e dopo due secondi cominciare a cagare sulla bandiera di quella squadra pensando di non aver fatto nulla di male, vuol dire che si è totalmente inetti a leggere l’ambiente. Non è acume critico e rabbia velleitaria, è mancanza di intelligenza e saggezza.
Non si tratta di una divagazione a caso: ho parlato di backfire ma, se memoria non mi tradisce, proprio in occasione de La Sete, Claudio fu uno dei pochi (un altro, se non erro, fu Nicola Lombardi) a confrontarsi in modo costruttivo e positivo, non rinunciando alle sue idee e convinzioni ma con un certo interesse per il dialogo e senza usare toni e termini offensivi.
Il tempo passa, le cose cambiano, io e Claudio diventiamo persino “amici di Facebook” e nemmeno di quelli da un like random ogni venti giorni: ci leggiamo più o meno quotidianamente, commentiamo e segnaliamo e continuo ad apprezzare il suo modo di confrontarsi, sia con me che con chiunque altro.
Inizialmente vivo con distacco la vicenda No Tav: comincio ad avere una certa età e con il passare degli anni il continuo accumularsi di pessime, pessime notizie di mancata democrazia, di soprusi grandi e piccoli, di egoismo e violenza quali uniche modalità di governo e di vita mi hanno distanziato da determinate cause, fosse anche solo per evitare di soffrire a ogni ulteriore lettura o visione.
Ma questo stesso accumulo, negli ultimi tempi, ha originato qualche tipo di cortocircuito e mi ha spinto nuovamente a informarmi, a cercare notizie, fonti, dati, verità “diverse” da quelle che è facile accettare in modo supino.
Ho ben poche modalità di “attivismo”: non mi piace il meccanismo del voto e della rappresentazione democratica e non mi convince la discesa in piazza, spesso affollata di retoriche e manipolazioni che non posso tollerare.
Agisco principalmente attraverso il (non) consumo in quanto la ritengo azione molto più forte e decisiva, di questi tempi, rispetto al voto.
Accanto al boicottaggio l’altro mio modulo è quello della condivisione di notizie, il tentare di innestare riflessioni e discussioni: trovo che Facebook sia il mezzo migliore (ma non certo l’unico) a tale riguardo e in generale amo questo social network per le sue enormi potenzialità, quindi abito principalmente le sue stanze in quanto il coito interrotto di Twitter è per me frustrante (ma sto provando ad apprenderne alcune basi e ne capisco la bellezza) e altri social network sono a mio modo di vedere più limitati rispetto a FB. Si prendono tantissime cantonate, si linka molta fuffa ma, in modo altrettanto forte e sicuramente più forte degli errata di un quotidiano, si può correggere il tiro e smascherare le bufale.
Calia, come me, è presente quotidianamente su FB, sebbene concentri la sua attenzione su un numero minore di argomenti, andando più a fondo e spesso gli manca (per fortuna, credo penseranno in molti) la mia attitudine al cazzeggio che stempera e confonde molti dei link che propongo in un mare di foto imbecilli e invocazioni a Satana.
Ho cominciato a interessarmi dei No TAV in seguito a due avvenimenti che sotto alcuni punti di vista non c’entrano molto con il movimento, pur essendo chiaramente pivotali dello stesso.
Il primo di questi due avvenimenti è la caduta di Luca Abbà dal traliccio dell’alta tensione, il 27 febbraio 2012.
Quel che mi colpì, più del già grave incidente, fu il terribile, disumano clima di derisione che regnava quasi ovunque.
Riuscivo, al momento, a metabolizzare ancora più o meno bene la derisione da parte di molti organi di stampa, trovai (purtroppo) normale che fogliacci di destra usassero termini dispregiativi nei confronti di questo ragazzo, da tempo la nostra stampa non ci riserva molte sorprese positiva.
Quel che mi fece paura e continua a farmela ancora adesso era l’onda montante di molti commenti sui social network, da parte di giovani e persone adulte che, senza sapere nulla della situazione, senza conoscere la problematica e il susseguirsi degli eventi, senza conoscere anche solo superficialmente Abbà, si abbandonavano a derisioni anche feroci nei confronti di una persona che versava in gravi condizioni all’ospedale (più di 100 giorni di degenza, se non erro).
Per formazione culturale, per come mi ha allevato mia madre e per tanti altri fattori sono incline a pensare che almeno i giovani dovrebbero, forse anche acriticamente (sì, anceh acriticamente), schierarsi a favore di determinati personaggi ed eventi storici e invece, da circa una ventina d’anni, mi trovo circondato sempre di più da ragazzi che con estrema naturalezza predicano il conformismo come valore primario e indiscutibile.
Sentire un coro in larga parte avverso al gesto di Abbà, avvertire ondate così possenti di cinismo e cattiveria mi lasciò scosso e mi fece pensare, così come pensa anche Claudio alla splendida e terrificante pagina 66 di questo suo fumetto, a un altro giovane che “se l’era cercata, coglione” qualche anno prima, a Genova.
Questo meccanismo ovviamente mi terrorizza e deprime molto, molto di più della malpolitica, della cattiva stampa e del pessimo governo, perché è come se in un organismo si ammalassero gli anticorpi ancora prima del resto dell’organismo stesso.
Gli anticorpi sono i globuli bianchi, quando i globuli bianchi si ammalano si parla spesso di cancro.
Sovente il cancro è una malattia mortale, se ti salvi ne porterai comunque i segni per sempre.
L’altro evento, collegato a doppio filo, fu il famoso filmato “pecorella”, anche questo ricordato con grande efficacia da Claudio, che ha una specie di super potere nel farti… Non so, nel farti distrarre, o comunque allentare l’attenzione per alcuni momenti per poi tirarti un cartone di quelli secchi in pieno volto dopo poche pagine.
In quel filmato Marco, un ragazzo di 28 anni, si confrontava a parole con un agente di 25 anni, affrontando temi importanti, con una certa (lecita, a mio modo di vedere) rabbia. Temi quali il numero di identificazione, il ruolo/lavoro del polizotto e altro ancora che, passato così tanto tempo da Pasolini (spesso, ahimè, citato ad cazzum proprio su questa tematica), dovrebbero ormai trovarci tutti d’accordo e non dovrebbero nemmeno essere più degni di discussione.
Il uno splendido momento trasmesso da Servizio Pubblico il ragazzo poi giungeva quasi a scusarsi, con parole molto, molto belle.
Di nuovo, mi terrorizzò la reazione (sui social network e nella “realtà”: non c’è tutta quella distinzione che farebbe comodo a molti) dei giovani e degli adulti. Solidarietà all’agente e anzi plauso, plauso da destra e da sinistra: questo poliziotto diventava Eroe ed Esempio per NON avere massacrato un cittadino che gli stava parlando.
Ovvero, la normalità accettata e condivisa è che di solito se stai servendo e proteggendo un contribuente e cittadino lo puoi e devi ridurre in poltiglia a manganellate.
Quando parlo di dolore, depressione, tristezza e altro, chi più mi è vicino sa bene che non sto usando parole a vanvera.
Io quando penso che la maggior parte delle persone è schierata dalla parte dell’agente in questione (e di altri agenti in altri casi) non mi arrabbio, non mi metto a ululare su come è conciata l’Italia: provo piuttosto un forte smarrimento, un dolore intenso per quello che siamo diventati, per tutto quello che abbiamo smarrito lungo una strada che non sappiamo nemmeno bene quando abbiamo iniziato a percorrere e che non sappiamo (io, perlomeno, non so) dove ci porterà.
Ci si ritrova ormai nell’impossibilità di un confronto. Mi ritrovo, scusatemi, mi, non ci.
Io mi sento incapace di spiegare a un interlocutore perché bisognerebbe essere schierati con Luca o Marco. È un po’ come tentare di spiegare i perché e percome del dover respirare, non ho le parole o la lucidità per farlo: il semplice constatare che molta gente, moltissimi giovani non lo sono, schierati, e anzi, deridono queste due persone, è per me evento sufficiente a farmi perdere ogni tipo di lucidità, a farmi venire un groppo in gola e chiudermi a riccio, circondarmi di poche persone che più o meno la pensano come me e tirare avanti fino a quando morirò.
Non essere capace di spiegare, così come quando prima parlavo della critica alla scena italiana, è di nuovo mio difetto e non è che ammettendo i difetti questi pigliano e scompaiono. Non so bene come lavorare su questi difetti. Però gioisco al pensiero che, al contrario, molti anziani stanno facendo quel che i giovani non sembrano più adatti a fare, lottano e aiutano e sono presenti ed empatizzano, ma è poca cosa, anche se conforta sul serio.
Certo: non è vita, così non è vita.
Dopo (per me, non nel senso cronologico puro) sono arrivati molti testi, dati, trasmissioni, pubblicazioni, articoli e post e ho cominciato a farmi un’idea di quel che ci fosse in ballo e non ho mai trovato qualcosa o qualcuno che potesse convincermi della bontà e necessità della TAV.
Informarsi ora è reso più difficile dalla facilità, dall’abbondanza, dall’ormai notissima incapacità di concentrarsi su schermo per più di qualche riga.
Bisogna quindi, forse, provare a staccarci ogni tanto dallo schermo e immergerci in altre modalità espressive.
Claudio Calia, che ormai ha accumulato, mi sembra di capire, una lunga e ottima esperienza nel suo personale ibrido di graphic/citizen journalism, ha messo insieme il testo più comprensibile in materia, un invito a fermarvi per tot minuti e assimilare qualche dato in più (con tanto di fonti nel caso ci si voglia cimentare in un po’ di sano fact checking) per cercare di farsi un’opinione motivata e documentata.
Piuttosto che scrivere di quel che mi piace (molto) e quel che mi lascia interdetto (poco) nel suo intenso Dossier Tav, ho preferito rivolgergli alcune domande, inserendo nelle stesse alcuni punti che altrimenti avrei esposto come mia opinione sull’opera.
Basti dire che siamo di fronte a un testo tanto intenso quanto equilibrato, che recupera alcuni dei punti di forza del graphic journalism più classico e noto (Guy Delisle, Lamia Ziadé, Josh Neufeld e molti altri) operando però “da casa”, come ben spiega l’autore a inizio fumetto.
Sì, fumetto, perché se già mal sopporto il generico termine “horror” quando parlo di certo cinema, potete immaginare il prurito che sento ogni volta che leggo il termine “graphic”, una delle tante gabbie di linguaggio a uso marketing che ci troviamo addosso e che non vogliamo cancellare, quando basterebbe così poco per eliminarle.
Un fumetto che spiega la questione TAV meglio di molti testi, con maggiore lucidità e ampio spazio concesso alle ragioni di chi è invece favorevole a tale opera.
Un ottimo punto di partenza per approfondire o un buon approdo per raccogliere e organizzare storia, idee e dati riguardanti la tematica.
Un fumetto in cui Claudio entra, narrando per brevi tratti, alle volte sofferti e altre volte gioiosi, la sua vita, quel che ti accade mentre osservi altro accadere ad altri.
malpertuis
Quattordici euro fra i meglio spesi negli ultimi tempi (sì, l’idea dell’intervista è nata ovviamente dopo l’acquisto e lettura) e un volume che ora esibisce la sua costola ocra accanto a quella di tanti altri fumetti presenti nella malpercasa, credo si tratti di un testo con il quale si possano confrontare sia quelli da tempo convinti delle ragioni del movimento di protesta che coloro che invece ritengano che questa grande opera sia una delle esigenze primarie per il nostro Paese.
Ricordandovi che potete trovare maggiori informazioni sull’autore e sul fumetto sia sulsito personale che su quello della casa editrice e invitandovi a leggere anche l’intervista comparsa su Panorama, andiamo a sentire quel che ha da dirci Claudio…
1) Partiamo dai metodi di lavoro e dagli attrezzi: come hai realizzato questo dossier? Che strumenti hai usato? Quali le principali sfide o problemi sia a livello di verifica delle fonti che di realizzazione pratica dell’opera?
La maggior parte della documentazione e dei dati presenti nel libro provengono da fonti disponibili a tutti, da alcuni libri a siti internet a cronaca quotidiana, fino alle dichiarazioni ufficiali governative e quelle dei movimenti No Tav. Devo dire che i dati, i numeri nudi e crudi, a parte una certa differenza “di scala” sottilmente utilizzata spesso da una parte contro l’altra (tipo, nel conto dei comuni favorevoli all’opera, comprendere quelli o non colpiti direttamente dall’opera o comunque dalle condizioni geografiche totalmente differenti, in modo da far sembrare “piccolo” quello dei comuni contrari in Val Susa), i dati che si sentono in giro sono corretti e mai smentiti, ed è bastato davvero semplicemente metterli in fila. Fondamentale il libro Non solo un treno di Marco RevelliLivio Pepino, una fonte preziosa anche per approfondire l’argomento da un punto di vista più vasto, del “diritto” vero e proprio. La consulenza finale poi mi è stata data da un contatto fornitomi dal movimento, contattato da me in via “ufficiale” quando mi sono messo a lavorare al libro, che è stato utile per correggere ulteriormente alcune cifre. Alcune in senso “negativo” a quanto sarebbe convenuto al movimento, scritte errate per mia distrazione: questo va detto per sottolineare l’assoluta onestà di questa consulenza.
2) In alcuni momenti si nota un certo sbilanciamento fra testo e segno. Per me ciò non rappresenta un intoppo alla lettura ma tu, durante la realizzazione, ti sei posto il problema? Hai pensato a soluzioni alternative o sei rimasto fedele a questa linea fin dal suo concepimento?
Mi sono posto questa questione – che non vedo, come spiegherò tra un po’, eccessivamente come un “problema” – continuamente lungo tutta la lavorazione del libro. I libri BeccoGiallo finora ospitano abitualmente una parte testuale alla fine del fumetto che va a ricostruire una sorta di bignami sull’argomento trattato, con cronistoria e eventuali approfondimenti. Ecco, dal principio la decisione, concordata con l’editore, è stata di cercare di integrare questa parte nel fumetto, e a fumetti. Volevo in un certo senso che il Dossier si svolgesse esclusivamente “a fumetti”, che il lettore non avesse bisogno di testi a compendio del racconto. (Lascio il resto della risposta alla domanda 6, per evitare ripetizioni)
3) La tua presenza nel narrato è, a mio modo di vedere, molto efficace e potente. Perché porsi “dentro” alla storia?
Devo dire che nei “miei” libri, ovvero i tre interamente realizzati solo da me, l’ho sempre fatto. Guglielmo Nigro, una delle persone a mio avviso più lucide che scrive di fumetto oggi, ha definito questa mia presenza come un “essere personaggio ma non protagonista”, definizione che mi è piaciuta e che mi sembra vera. Se vogliamo tra le origini di questo atteggiamento col racconto c’è Joe Sacco, l’esempio più genuino di giornalismo a fumetti che abbiamo a disposizione, di cui sono stato studente in un corso intensivo di tre giorni a Ravenna agli inizi degli anni zero. E poi ho sempre avuto come riferimento i documentari o i reportage giornalistici, in cui la voce che “parla” è quella di chi scrive. Ecco, questi miei libri non sono in alcun modo “fiction”: essere io a presentare il racconto mi è sempre sembrata la cosa più onesta da fare. Non posso certo dire che il mio atteggiamento sia rimasto lo stesso da Porto Marghera ad oggi: credo in Dossier Tav di avere provato a gestire questa mia presenza in modo diverso, più “funzionale” alla storia. Mi è diventato un’espediente utile per cercare di creare una sorta di “empatia” più diretta col lettore, unico cui rimane il giudizio ultimo sul se ci sono riuscito.
4) Pubblichi con Becco Giallo da tempo. Che tipo di rapporto c’è stato durante il concepimento dell’opera? Ti fornivano stimoli, correzioni di rotta, materiale e input o si tenevano sostanzialmente in disparte in vista del prodotto finito?
Guarda, nel tempo con BeccoGiallo si è creata una sorta di fiducia reciproca. Per cui in realtà abbiamo parlato molto del libro prima che mi ci mettessi a lavorare sopra, hanno visto le primissime matite, poi ad un certo punto in cui il libro sostanzialmente “esisteva” ma era composto da un puzzle piuttosto incomprensibile all’esterno di blocchetti di appunti, matite, tavole mezze inchiostrate, alcune complete, etc… Ho fatto leggere tutto a Guido Ostanel di BeccoGiallo, ne abbiamo riparlato a lungo, e mi sono immerso nella fase finale del lavoro. Ogni tanto ci spedivamo articoli o link che ci sembravano interessanti sull’argomento. Insomma, per rispondere alla tua domanda, direi una via di mezzo tra i due estremi che proponi: una “giusta distanza”, ecco.
5) Trovo che in particolare la sezione 4 sia un buon esempio di apertura al dialogo e al confronto pacato, sulla base di dati e ragionamenti. Altri, a livello politico e sociale, hanno tentato questo tipo di confronto ma non hanno ricevuto grande riconoscimento e risposta.
Credi ancora che questo tipo di “dialogo” possa funzionare?
“L’unico momento in cui vedrete le due posizioni scambiarsi dati e dialogare”, lo definisco quel capitolo alle presentazioni che sto facendo in giro. A me sembra piuttosto naturale raffrontare la relazione tecnica del governo e quella dei NoTAV, coadiuvati da tecnici specialistici. E credo che il raffronto tra le due, replicata quasi letteralmente la prima di 14 punti, riassunta a dismisura la seconda – sintesi personale di 150 dettagliatissimi punti -, che è rappresentato in quel capitolo, porti inequivocabilmente a considerare in una giusta cornice l’opera e il perché della sua presunta inderogabilità. Questo solo lasciando parlare cifre, dati e posizioni, senza alcun mio intervento esterno.
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6) La sezione 2, con il lettering in corsivo non sempre chiaro, su fondo a quadretti, è con buona probabilità quella di lettura più difficile, sia dal punto di vista “fisico” che per quanto concerne la densità dei dati.
Perché, non trattandosi comunque di un momento di narrazione privata, hai scelto l’espediente del corsivo?
L’idea per questo capitolo, che è a tutti gli effetti quello che sarebbe stato “l’apparato testuale” di un classico libro BeccoGiallo, è stata quella di estremizzare una cosa che avevo già provato timidamente nel libro precedente, l’intervista a Antonio Negri, in cui per alcune pagine erano i miei appunti, illustrati nel contesto dell’intervista proprio come appunti presi su un quaderno posato sulle mie ginocchia, a portare avanti il racconto. Ho pensato in questo lavoro di cercare di dare dignità di racconto a quelli che, quasi a tutti gli effetti tranne qualche ritocco estetico e correzione ortografica dell’ultimo momento, costituiscono proprio parte dei miei appunti scritti durante la lavorazione del libro. Un tentativo di attribuire “dignità narrativa” all’appunto, insomma. Per quanto riguarda la densità del testo, semplicemente nel tempo mi sto sbarazzando dello stereotipo per cui leggere un fumetto, anzi, caratteristica costitutiva del fumetto, debba essere una presupposta “semplicità” e “leggerezza”. Le persone leggono testi complessi ogni giorno, la narrativa occupa il 44% circa delle vendite di libri, con uno spazio enorme dedicato alla saggistica di tutti i tipi e su tutte le materie: se il fumetto è un linguaggio non è possibile che sia vincolato a doppia mandata a essere – sempre – un “racconto”, come se un linguaggio potesse essere destinato esclusivamente a “raccontare favole”, e basta. Poi il fumetto è il fumetto, alcuni autori di oggi quasi si vergognano quando se ne vantano le estreme possibilità divulgative, io invece ci credo e ci investo molto. Infine, per me era necessario inserire a quel punto del libro quel capitolo perché volevo che per i successivi il lettore conoscesse già quella parte di storia dell’opera.
7) Lo scontro fra governo e movimento no tav è un classico esempio di Davide e Golia, e fino a questo punto nulla di “anormale”, purtroppo: abbiamo visto infinite volte il potere distorcere fatti ed accadimenti, tramite una stampa supina, per fingere un esteso consenso popolare nei confronti di determinate scelte.
Quel che trovo allarmante è che mai come ora la maggior parte delle persone (e non parlo solo per quanto riguarda la tav), anche quelle che dovrebbero tifare “naturalmente” per il Davide della situazione, mi sembra invece ben felice di stare dalla parte di Golia.
Hai anche tu questa sensazione?
Se sì, come spieghi questo spostamento, questa mutazione di opinione e schieramento?
Guarda, ho riflettuto su questa cosa a partire dal bel testo introduttivo a questa intervista che gentilmente mi hai fatto leggere in anteprima. Non ho risposte nette, ma mi è balzato in mente un frammento di un mio libro precedente, “è primavera – Intervista a Antonio Negri”. In uno degli estratti da un’opera teatrale scritta da Negri, “Settanta”, che ho illustrato nel libro, i due personaggi, verosimilmente Toni stesso e la moglie dell’epoca, discutono di “quando è nata la rivolta”. E la rivolta nasce quando i lavoratori iniziano a potersi permettere di andare al bar, si vedono, escono la sera, bevono un po’ di bianchetti insieme. Due spiccioli in più in tasca hanno dato modo a una generazione di pretendere una condizione di vita migliore. Ecco, credo che oggi, con le dovute proporzioni in un mondo totalmente differente, il problema sia proprio questo: siamo incattiviti in una lotta individuale, o familiare tutt’al più, per garantirci l’esistenza. In questa condizione nessuno spirito di comunità appare possibile, e l’unico modello che attrae invidia e voglia di emulazione è “chi ce l’ha fatta”. Siamo soli, il mondo che abbiamo davanti è troppo grande e aggressivo: come piccolo omaggio al padrone di casa di questo sito dirò che sento che in questo preciso momento storico c’è un sentore da situazione caratteristica di ogni slasher movie che si rispetti. Di fronte ad un avversario comune, sfuggente e invisibile, continuiamo a scappare soli e fregandocene degli altri, a prendere la strada sbagliata, a salire le scale del palazzo in cui siamo prigionieri del maniaco, o dell’orda di zombie putrescenti, piuttosto che provare a difenderci insieme e puntare all’uscita. D’altronde, “la rivoluzione si fa con la pancia piena” l’ha detto qualcuno un bel po’ di tempo fa. Da dire che non mi sento di osservare dall’alto questo fenomeno: me ne sento spesso influenzato in prima persona e cerco di riflettere sulle ragioni.
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8) Uno dei più forti e classici trucchi dialettici operati dalla stampa e assorbiti molto bene anche a livello di social network è quello di dipingere la scelta pro tav come scelta “pro evoluzione” e progressista mentre quella no tav come oscurantista, luddista, hippie ecc. ecc.
Questo confonde molto bene le acque, facendo perdere di vista il fatto che esistono molti tipi di progresso, a seconda dei valori presi in considerazione.
Pensi che a livello di movimento sia stato fatto tutto il possibile per tentare di contrastare questo messaggio o alle volte ci si sia (inconsapevolmente o meno) abbandonati a certe retoriche di contrapposizione comunque facili e potenti?
Penso che la situazione sia troppo esacerbata, oggi, per chiedere a chi vive in Val Susa di essere “moderato” nell’esporre le sue ragioni. Credo che chiunque, di fronte all’esproprio della propria casa, sia legittimamente autorizzato ad essere un tantino arrabbiato. Il mio tipo di operazione è stato proprio questo: astrarmi dalle due squadre in competizione, che al momento sono cittadini vs. forze dell’ordine, in un orizzonte desolante e desolato in cui sembra non esserci soluzione: un mezzogiorno di fuoco di massa. La politica ha abbandonato quella valle a uno scontro tra tifoserie, con due squadre, i cittadini da una parte e le forze dell’ordine dall’altra, che intrinsecamente non possono risolvere la cosa da soli. Le forze dell’ordine possono solo reprimere, non possono trattare. I cittadini non hanno una controparte con cui trattare, gliele hanno tolte tutte. È un cul de sac. Allora, per riportare la faccenda ad un piano più comprensibile per permettere a chi interessato di farsi un’idea corretta della situazione – a prescindere dalle proprie posizioni su “opera sì, opera no” – la mia scelta è stata proprio quella di tirarmi fuori dalla partita. E ripartire da capo: a mostrare, a spiegare, a ragionare. Certo, ammettendo da subito la mia posizione, ma cercando di fornire degli strumenti, dei dati, che in quanto tali sono utili a tutti, rimettendo al centro del dibattito l’Opera, la sua storia.
9) Sempre più spesso, a prescindere dal soggetto o dal tema, noto in molti miei interlocutori (ma, ci mancherebbe, anche in me stesso) questa tendenza: si ascolta o legge, magari di fretta e male, una notizia e subito ci si schiera, spesso con toni feroci, violenti, da stadio, veicolando offese nei confronti della parte opposta e con scarsa propensione a discutere l’idea. Non ci si documenta e per contro ci si schiera su sempre più idee e accadimenti, esperti di tutto.
Come ti relazioni con interlocutori che hanno questa attitudine?
Devo dire che negli anni mi sono fatto più cinico. Il luogo dove avviene la maggior parte di questi fenomeni oggi è Facebook, e ormai non mi faccio più alcuno scrupolo a bannare, semplicemente. Da me qualcosa del genere è accaduto quando ho iniziato a postare messaggi di stato dedicati alle Pussy Riot: se mi dici una volta che sono agenti segreti della CIA pagati dagli Stati Uniti ci può stare. È un’opinione che ritengo tanto balzana che il termine “infondata” mi sembra limitato per quello che esprimerei in proposito, ma ci può stare. Se cominci a scrivermelo quattro volte, e vedo che hai un profilo che non segue neppure tua madre e cerchi di usare il mio per essere più “popolare” nel tuo delirio ti banno e basta, senza tante spiegazioni. Che dibattere è quello che vuole questo tipo di persona: nella lite con te legittima la sua opinione. Poi in internet ci lavoro, ho una forse esagerata percezione del detto “scripta manent”: ritrovo discussioni a cui ho partecipato magari cinque anni fa di cui mi vergogno. Per questo tendo a meditare molto su quello che scrivo, e mi aspetto la stessa cosa da chi vuole intraprendere una discussione. Poi il fenomeno non lo vedo in sé “grave”, è come essere sottoposti ad un grande bar globale in cui ognuno spara la sua apparentemente con la stessa legittimità di un altro, pieno di mancati allenatori, più puri di te, santi e poeti. L’importante è entrare e uscire dal bar quando si vuole e non prendersela troppo.
10) Trovo che in alcuni momenti della tua opera i disegni siano forse troppo slegati (e ripetitivi) rispetto al narrato. Parlo in particolare del quarto capitolo. Riguardo questa particolare sezione, a rileggerla, senti di aver dato il meglio o potendo intervenire correggeresti qualcosa?
Quel capitolo (per chi non ha visto il libro) rappresenta qualche turno di una partita di Risiko, con tiri di dadi e carrarmatini “ripresi” da più punti di vista. Sono pagine divise in due, che nei testi contengono le due relazioni tecniche contrapposte che spiegavo prima. È pensato in qualche modo anche per essere utilizzato “a sé stante”, pensavo quando avrò tempo di realizzarne un’infografica per il web. Ecco, al di là di quanto ritoccherei – anche sostanzialmente – cose per tutto il libro ora che è stampato, riflessioni che certamente riporterò nel mio prossimo lavoro, direi di no. Quel capitolo è stato fatto nel modo migliore in cui avrei potuto concepirlo nel momento in cui l’ho realizzato.
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11) Hai degli autori la cui opera ti ha ispirato e continua a motivarti e offrirti spunti? E dal punto di vista del tratto, del segno, dello stile, chi ti ha influenzato maggiormente?
Oh bè. Questa rischia di essere una risposta molto lunga. Numerosissimi, e tra i più impensabili, sono gli autori che continuano a motivarmi e offrirmi spunti. Devo dire che mentre da più giovincello inseguivo ogni “novità”, stavo aggiornato su ogni uscita, oggi mi riscopro ad andare a ricercare le cose più “vecchie”. Per fare un esempio al momento sono vittima del Mickey Mouse di Floyd Gottfredson e Gasoline Alley di Frank King(come uso dire di questi tempi, “oltre il ’39 comincio a sentirmi a disagio”). Anche se poi non è vero, e leggo costantemente molte cose contemporaneamente. Sto rileggendo l’intera saga della Morte di Superman perché mi ci hanno chiesto un articolo e l’ho trovata una richiesta divertente. Sul comodino c’è La storia di Lisey di Stephen King. Per quanto riguarda da cosa suppongo possa derivare il mio stile, direi dalle poesie visive diJohn Giorno, dai manifesti politici degli anni ’70, da Little Orphan Annie di Harold GrayAlack Sinner di Munòz. E dal “re”, Jack Kirby. Dal cinema di David Lynch alla scrittura di Clive Barker. Più che fonti direttamente “visive” è molto anche l’approccio al fumetto che condiziona il risultato finale: non-fiction, una auspicata forte propensione ad essere compreso dai lettori di “libri”, un tipo di segno che cerca – mi vergogno un sacco a parlare di me e ti odio in questo momento – di presentarsi come una sorta di “calligrafia”, comoda e semplice da interpretare per il lettore abituale.
12) Creative commons e rapporto fra cartaceo/elettronico: come ti relazioni con questi due argomenti?
Sostanzialmente tutto quello che ho fatto e che faccio è distribuito in creative commons, molto è disponibile come file da scaricare dal mio e altri siti. Credo profondamente che le opere d’ingegno siano soprattutto di proprietà dei lettori, o dei fruitori in generale, e che sia loro tutto il diritto di sceglierti, anche leggendoti, ascoltandoti, guardandoti prima di decidere se acquistarti o meno. Che a volte mi sembra che tutto questo voler tutelare il copyright sia la consapevolezza da parte di alcuni di creare contenuti brutti, tanto da volere gli spiccioli in anticipo, subito, prima che te ne accorgi. Come potrai intuire, ho idee particolari anche sul copyright, ma non vorrei annoiare troppo in questa intervista. Sul rapporto cartaceo/elettronico sono spregiudicato, probabilmente al momento leggo di più dal tablet perché mi permette di leggere al buio e capita di avere la bimba sul lettone.
13) Il dossier è uscito nel novembre del 2012. Il nuovo anno è appena iniziato e già abbiamo notizie di sequestri e indagini nei cantieri Tav. Nessuno di noi è Nostradamus, ma quali sono le tue sensazioni sul possibile sviluppo futuro di questa vicenda?
Guarda, più ci penso più la vedo come un’opera che non si farà. Ma non purtroppo per una ventata di buonsenso – che pur mi auspico -, ma perché mi sembra che questo tipo di grandi opere servano proprio per il giro di affari che generano. Siamo pur sempre in un paese in cui il Prodotto Interno Lordo sale quando un ponte cade e scende quando un ponte fa il ponte. Vengono ancora spesi soldi per il Ponte sullo Stretto. Mi sembra evidente che certe cose nascano per non finire mai. Ma, in tutto questo, purtroppo ho pochi dubbi che non si riusciranno a fare danni permanenti e di cui ci si pentirà, a quella valle. E visto anche la modalità diplomatica con cui lo Stato si presenta alla tenzone, prevedo un mucchio di galera e repressione in quel territorio, processo già avviato da molti anni. Certo, a meno che qualcuno prima che si facciano tragedie non tiri il freno a mano della ragionevolezza e del confronto, e può farlo una parte sola.
14) E, parlando di futuro, cosa ci riserverà Claudio Calia nei prossimi mesi?
Un nuovo libro, notizia di questi giorni. Se tutto va bene entro l’anno. Sul tema mantengo ancora un piccolo no comment, diciamo che nelle mie idee dalla cronaca disegnata, all’intervista a fumetti, al dossier illustrato, questa volta si prova a fare una “mappa a fumetti”.
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Posso invitarvi ancora alla lettura rimandandovi al sito dell’editore? Posso ringraziare Claudio e berne uno alla sua? Posso vantarmi del disegnino e pensare di usarlo, fra un po’, come testata?
Alla prossima…
da Malpertuis.org