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mercoledì 25 settembre 2013

Lo scrittore Mauro Corona con i NoTav: "La violenza è dello Stato"


ROMA - Dopo Erri de Luca e Ascanio celestini anche lo scrittore Mauro Corona si schiera contro la realizzazione della linea ad Alta Velocità Torino-Lione. "Sono con   i No Tav", ha detto Corona durante un'intervista rilasciata alla trasmissione "La zanzara" su Radio 24.
"La violenza non è partita dai No Tav, ma è partita da una violenza legale, legale, che si fanno le leggi poi infieriscono a casa tua, sui territori", ha puntualizzato lo scrittore friulano, che ha poi aggiunto: " fanno benissimo a difendere il loro territorio con qualsiasi mezzo". Anche con la violenza? "La violenza non è stata da parte loro. Se tu mi attacchi con la violenza io mi difendo. La violenza subdola è quella dello stato a cui non puoi opporti altrimenti vai in galera".



martedì 24 settembre 2013

Venerdì 27 settembre, ore 21 Serge Quadruppani alla Libreria Belgravia Torino




In questi giorni, in cui il movimento NoTav è più che mai sotto l'attacco di procura, magistratura, media, che, privi di argomenti seri e documentati per controbattere alle ragioni del NO (quelle sì serie e documentate), stanno cercando di agitare la paura del terrorismo (ricordiamo che persino Roberto Benigni, in un suo vecchio film, "Il Mostro" appunto,  aveva sbeffeggiato, come solo lui sa fare, tali rozzi meccanismi; sono passati vent'anni da quel film ma sembrano secoli...). Per parlare anche di questo

ricordiamo l'appuntamento con Serge Quadruppani e Maurizio Pagliassotti
Nella  Valle di Susa si sta giocando una partita che ormai va oltre il treno, in questa valle si sta affermando e da questa valle si va sempre più diffondendo una visione del mondo e dell'economia diversa e contrapposta a quella che ormai da decenni lobby economiche e finanziarie tentano di proporci come l'unica possibile. E questa valle è diventata, abbastanza suo malgrado...,  un simbolo - in Italia e non solo - per tutti quelli che non accettano di "non disturbare mai il manovratore".
Per questo il movimento NoTav è oggetto quotidianamente di attività di denigrazione e calunnia da parte dei media.

Solo con ragionamenti razionali, sensati, basati su dati e su informazioni corretti e approfonditi, si può riuscire a smontare la grancassa della propaganda che dai vari giornali, tv, ecc. tenta di non farci vedere le fabbriche che chiudono, gli ospedali che chiudono, gli asili che chiudono, le scuole che cadono a pezzi, i servizi sociali che scompaiono, una città, Torino, in cui i negozi con le seracinesche abbassate sono in numero ormai imbarazzante agli occhi di ciascuno di noi.
E se anche ce li fanno vedere, perché il banchetto degli operai davanti alla fabbrica chiusa e la lacrima (del disoccupato, del familiare del morto sul lavoro, del prossimo candidato alla miseria o del già miserabile) fa sempre folclore e, almeno per qualche ora, un po' di audience; ma "misteriosamente" non si va mai a fondo del perché tutto ciò accade, delle scelte (economiche, finanziarie, politiche) che stanno alla radice di questi disastri. E' la crisi, è la globalizzazione, è il mercato "baby"...
In Valle di Susa da anni ormai il re è nudo, non ci siamo mai stancati di smascherare con ogni mezzo le balle di quelli che sponsorizzano le grandi opere  con l'unico obiettivo di riempire le tasche proprie e dei loro amici, parenti e conoscenti, oltre che ovviamente quelle della mafia (e a volte le tasche coincidono....) e di quelli, sì, miserabili, moralmente miserabili, che sperano con il loro servilismo di arrivare a piluccare almeno le briciole del business.

Tutti coloro che che si sono posti delle domande ed hanno provato a comprendere le ragioni di  un’intera comunità per sgomberare il campo dai pregiudizi, rivendicando il diritto di ragionare con la propria testa – giuristi, intellettuali, giornalisti come Gad Lerner, Erri De Luca, Stefano Rodotà, Gabriele Salvatores, Laura Puppato, tanto per citarne alcuni, hanno subito attacchi feroci dal loro stesso mondo, quello dei media e della politica. Chissà perché....
Salvo poi, lo stesso mondo versare - dopo, sempre dopo - fiumi di inchiostro e di parole sulla Thyssen, sull'amianto, sulla "campagna" della Campania inquinata, sulla devastazione del Mugello, sull'Ilva di Taranto, sugli arresti di questi giorni in Umbria, ecc. ecc. ecc.
Noi della Valle di Susa queste lacrime di coccodrillo non le vogliamo, non vogliamo un processo tra venti trenta o quarantanni, in cui saremo a piangere i disastri ambientali, umani ed economici conseguenti alla costruzione della linea ad alta velocità, ennesima cattedrale nel deserto, e forse anche  a condannare i responsabili ottuagenari/novantenni o i loro "nepotini", noi vogliamo fermare questo disastro adesso e subito. Per farlo abbiamo bisogno del sostegno di tutta l'Italia, abbiamo bisogno che tutte le persone ancora oneste in questo Paese (e lo vogliamo scrivere ottimisticamente con la maiuscola) capiscano che in questa valle non ci sono terroristi ma cittadini che non vogliono essere sudditi, cittadini che credono nell'autodeterminazione, e nell'opposizione allo sperpero del denaro delle nostre tasse. E abbiamo bisogno che tutte queste persone ancora oneste, oltre a capire, si mobilitino, partecipando alle iniziative e supportando il movimento NoTav e tutti i movimenti di opposizione a grandi opere ed  ecomostri vari che nascono ormai come funghi nel nostro Paese e non solo (NoMuos, NoTap, NoNavi, no termovalorizzatori, no inceneritori, ...).
Quando lo stato (questo sì con la minuscola) ha bisogno di recintare un cantiere con filo spinato e di farlo presidiare da ingenti forse di sicurezza, e ciò oltretutto viene  sbandierato sui media come se fosse un merito..., e si avvale di procure e giudici compiacenti per perseguitare i cittadini con motivazioni di provvedimenti cautelari sistematicamente censurate dai giudici di seconda istanza, è evidente che non è per fronteggiare quattro facinorosi terroristi, ma tutta una popolazione "contro" e che non è riuscito a convincere con mezzi democratici, proprio perché argomentazioni ragionevoli per il SiTav non ce ne sono.
E' sufficiente sforzarsi e informarsi un po' di più, andare un poco oltre i soliti giornali e le solite trasmissioni televisive. Quando si comprendono i meccanismi della malainformazione e della malapolitica è facile capire le manipolazioni dei media e scegliere da che parte stare. 

I libri e il  saggio di Serge sono un contributo a questo percorso.
Partecipiamo all'incontro e firmiamo la petizione per Erri De Luca, per sostenere lui e tutti quanti noi,  in tutta Italia...

lunedì 23 settembre 2013

Venerdì 27 settembre e Sabato 28 settembre: Susa e Avigliana teatro NoTav

I am leto

Venerdì 27 settembre
ore 21 "I AM LETO"
spettacolo teatrale a Susa - San Giuliano Presidio NoTav Gemma delle Alpi




Regia di Rita Pelusio, 
con Andrea Bocchicchio.

Ingresso libero

Il Canto di Maddalena_Avigliana 28 settembre

Sabato 28 settembre, 
ore 21, Avigliana: 
IL CANTO DI MADDALENA
borgo medievale, giardino della chiesa di S. Maria Vecchia


Regia di Paolo Senor,

Compagnia "Teatro di Terra" 

Ingresso libero


Spettacolo itinerante sulla passione della Valle di Susa ideato e diretto da Paolo Senor. 
Lo spettacolo fonde il rituale della sacra rappresentazione con quello delle tante manifestazioni straordinariamente partecipate che in questi ultimi anni hanno attraversato la valle, riempiendo esteticamente le stesse degli elementi – memoria, resistenza, passione, ma anche capacità di guardare al futuro con occhi nuovi – che muovono questa terra. Terra che viene incarnata dai corpi delle donne, creative protagoniste del movimento di opposizione all’’Alta Velocità come dello spettacolo. Una rappresentazione che utilizza linguaggi fortemente evocativi, come la danza e il teatro-immagine, la testimonianza, la narrazione poetica e la musica dal vivo, solcando le piazze, le strade dei centri storici e i sentieri della valle. Unendo tutti, attori e spettatori, in un rituale di collettivo riconoscimento delle radici comunitarie.
L’evento è patrocinato dal Comune di Avigliana.


INTERVENIAMO NUMEROSI !!





mercoledì 18 settembre 2013

Ri-postiamo da NoTav.info Andrea De Benedetti, coautore di Binario morto

Diamo l’alta velocità anche alle notizie “scomode”

di Andrea De Benedetti, coautore con Luca Rastello del libro BINARIO MORTO
Succede che scrivi un libro d’inchiesta e t’invitano ai festival letterari. Non giornalistici: proprio letterari.
Il che è bellissimo, ci mancherebbe. Anzi, è un autentico privilegio. Ma suona anche abbastanza un po’ beffardo.
O magari no: dopotutto che cos’è oggi la letteratura, se non un intreccio promiscuo di fiction e non-fiction, un meticcio sopravvissuto alla (presunta) estinzione del romanzo grazie all’ibridazione virtuosa con altri generi? Solo che quando ti accorgi che i quotidiani ti recensiscono negli sfogli culturali anziché citarlo sulle pagine di cronaca o di politica, e che oltre ai festival letterari t’invitano anche alle trasmissioni radiofoniche dedicate ai libri colti, e che in compenso i programmi di approfondimento televisivo si guardano bene dall’interpellarti come persona informata sui fatti, quando insomma capisci che il tuo libro è trattato più come un oggetto letterario che come un deposito di dati e notizie per lo più misconosciuti, cominci a preoccuparti.


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E ti preoccupi ancora di più quando, di fronte a platee di persone per lo più attente, curiose e ben informate, vedi spalancarsi bocche, inarcare sopracciglia e sgranare occhi per lo stupore, come se quello che racconti fosse fantascienza, come se tra chi favoleggia di future crescite del Pil dell’1,5% annuo (Confindustria ha annunciato trionfalmente una previsione di calo dell’1,6% per l’anno in corso) e chi spiega che l’Alta velocità ferroviaria è un progetto abbandonato o fortemente ridimensionato da quasi tutte le grandi potenze occidentali (Gran Bretagna, Germania, per non parlare degli Usa, che non l’hanno mai avuta), l’alieno fossi tu.
DAVVERO NON SI PUÒ raggiungere la Slovenia in treno? – sembrano chiederti quegli occhi increduli. Davvero le merci non possono viaggiare ad Alta velocità? Davvero l’economia spagnola è collassata perché hanno voluto fare treni troppo veloci e troppo costosi? Davvero per realizzare i 130 chilometri di Tav Torino-Milano ne hanno costruiti più di 400 di asfalto fra strade d’accesso, cavalcavia e raccordi, alla faccia della retorica finto-ecologista dei promotori dell’opera? Davvero il costo per chilometro del Tav italiano è il quintuplo rispetto a Francia e Spagna? Davvero in Germania usano ancora e sempre il Pendolino? Eccetera.
Alcuni, addirittura, ti si avvicinano alla fine degli incontri con aria contrita e riconoscente per ringraziarti di averli aiutati ad aprire gli occhi, e tu ti senti un po’ come la ragazza che nel Truman show avverte Jim Carrey di essere il protagonista inconsapevole di una fiction sulla sua vita, dimentico del fatto che tu stesso, fino a pochi mesi prima, eri vittima altrettanto innocente e ignara dello stesso inganno. Perché, parliamoci chiaro, non sono loro (e neppure noi) a essere ignoranti.
È che di certe cose non parla quasi nessuno. Non i quotidiani “a grande tiratura nazionale” e men che meno le televisioni. I treni italiani non sono abbastanza veloci? Può essere. Ma di sicuro non c’è nulla, nel nostro paese, che viaggi più lento delle notizie. Sempre che giungano a destinazione, ovviamente: perché alcune non ci arrivano del tutto, oppure arrivano distorte, oppure ancora arrivano capovolte. Come la storia del decreto francese che “ribadisce la pubblica utilità della Torino-Lione” – questo il sunto che ne ha fatto la maggior parte dei quotidiani italiani con toni astiosamente trionfalistici – e che in realtà costituisce una pura formalità legislativa volta ad assicurare la continuità giuridica del progetto senza fornire alcuna data certa, anzi fissando il limite del 2028 per l’inizio (l’inizio: non la fine) dei lavori. Come dire: la Torino-Lione sarà anche utile, ma nel caso ne riparliamo tra 15 anni.
Alla fine, l’impressione che se ne ricava è che la battaglia più urgente, verrebbe quasi da dire più giusta, non è tanto quella che si combatte da anni intorno ai perimetri di cantieri con affaccio sul nulla, avviati solo per cominciare a smuovere qualche metro cubo di terra e tagliare qualche nastro in favore di telecamera, quanto quella per un’informazione più corretta, puntuale e plurale. Un’informazione in cui, anche le notizie scomode possano godere del privilegio dell’alta velocità e non siano condannate anch’esse ad arenarsi in un binario morto.
da il fatto quotidiano del 17 settembre 2013


martedì 17 settembre 2013

Serge Quadruppani dialoga con Maurizio Pagliassotti

alla Libreria Belgravia  di Torino - 27 settembre 2013 h. 21.00

Leggi liberticide, tecniche di controllo sempre più pervasive, creazione di database in grado di schedare chiunque: sono solo alcune conseguenze della politica della paura attuata nei Paesi di tutto il mondo.

Dopo "l'età dell'ansia", il nuovo secolo è attraversato da un sentimento di incertezza ancora più profondo. Su questo oggi prolifera una vera a propria politica della paura, che alimentata dalla complicità dei media, fabbrica di volta in volta nuovi pericoli - il terrorista, il no-tav, l'internauta, il rom - per distogliere la nostra attenzione da rischi ben più reali e indebolire le capacità critiche e di pensiero. 
"Sull'apparire di questi soggetti si fonda un'industria della paura, prospera un mercato mondiale della paura, si estende una nuova sfera giuridica della paura".
Serge Quadruppani delinea con precisione un "impero" in continuo movimento, sempre alla ricerca di nuovi nemici da sconfiggere, mettendoci in guardia dalle distorsioni della "macchina terroristica".





"Saturno" - Una strage senza apparente motivo, alle terme di Saturnia; un'inchiesta dalla quale si capisce subito che qualcosa non torna; un romanzo sull'Italia di oggi, sui suoi mostri e i suoi fantasmi, e insieme sulla finanza internazionale, scritto da Serge Quadruppani, maestro del noir francese, forse l'unico autore straniero che possa parlare del nostro Paese con l'amore e la competenza dei migliori giallisti italiani.

Alle terme di Saturnia, luogo preferito di relax per gli alti papaveri della società romana, un uomo uccide a sangue freddo tre donne, apparentemente scelte a caso, e svanisce nel nulla. Alla vigilia del G8 dell'Aquila, la prima pista che gli inquirenti sembrano voler seguire è quella di al-Qaida, ma il commissario Simona Tavianello non è convinta. La rivendicazione sembra copiata da mille altre e, d'altro canto, perché delle indagini è stata incaricata lei, che lavora alla Direzione antimafia? E perché le piste sembrano aumentare di numero, portandola sempre piú vicina al cuore della finanza internazionale? Ostacolata da membri di quell'apparato giudiziario che ha sempre e fedelmente servito, al commissario non rimane che ricorrere a ogni aiuto possibile, anche non convenzionale, fino a creare una squadra decisamente anomala, fatta di investigatori privati, ragazzini smaniosi di vendetta, e - perché no? - di cani, gatti, conigli, asini...

lunedì 16 settembre 2013

The Spirit of '45 - Ken Loach - "Dobbiamo combattere il concetto che il profitto fa girare il mondo"


Non è di facile visione, dal punto di vista cinematrografico le critiche di Roberta Ronconi sono assolutamente condivisibili, ma va visto, perché ci racconta un pezzo di storia inglese (e quindi europea) non così conosciuta da molti di noi, e ci dimostra che "si può fare" ...è già stato fatto.

“The Spirit of ‘45” di Ken Loach 
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di Roberta Ronconi – Prima della Seconda guerra mondiale, l’Inghilterra era un paese con le pezze sul sedere. Gli anni della depressione economica lo avevano ridotto, all’inizio dei ’30, tra i più poveri paesi dell’Occidente, con un tasso elevatissimo di disoccupazione. Miseria, fame e malattie decimavano persino le grandi città, a Londra gli “slums” (i quartieri degli operai e dei minatori) erano simili alle attuali favelas latinoamericane e forse peggio. La vittoria della Seconda guerra mondiale fu un risultato che cambiò il corso del suo destino. Non solo perché l’Inghilterra di Winston Churchill potè banchettare al tavolo dei vincitori, ma soprattutto perché la percezione generale fu che, se uniti si poteva vincere una guerra contro la macchina di morte nazista, allora uniti si poteva fare tutto. Anche costruire un paese migliore. La vittoria del Labour Party si basò su questa emozione collettiva e il processo di nazionalizzazione della sanità, delle ferrovie, della scuola, dei trasporti fece di quel paese uno dei più avanzati e al tempo stesso con il miglior welfare (stato sociale) dell’Occidente. Almeno fino all’avvento della Thatcher (1979), quando la storia britannica ebbe di nuovo una virata e iniziò il periodo delle privatizzazioni.
Ken Loach lo conosciamo, è un uomo fieramente di parte. Il suo documentario “The Spirit of ‘45” è un’esaltazione di ciò che fu e di ciò che il thatcherismo distrusse. Per uno spettatore italiano, un documento inizialmente interessante poi eccessivamente didascalico, quasi pedante. Loach viene dalla scuola documentaristica della Bbc, la migliore del mondo, ma in questo caso ne sfrutta solo l’aura più che l’incisività. I documenti storici sono belli (un pezzo rarissimo il Winston Churchill fischiato dai lavoratori), ma assemblati nella maniera meno fantasiosa possibile, continuamente intervallati da testimonianze a mezzo busto di testimoni dell’epoca. Insomma pesante, pedante e poco sfaccettato.
La cosa però che a noi ha suscitato maggior interesse è stato, non tanto il paragone con l’Inghilterra rampante degli anni ’80, quanto la sensazione di vivere oggi qualcosa di molto simile ad allora. Guardando “The Spirit of ‘45” abbiamo percepito chiaramente come oggi, ora, anno 2013, l’Europa e forse il mondo, stia vivendo una depressione economica molto simile a quella di 80 anni fa e che l’aria di guerra che si respirava allora, la respiriamo anche noi oggi. L’unica cosa che ci potrebbe salvare è, come allora, l’unione delle forze e l’azzardo di cambiare tutto, radicalmente. Anche se i politici in coro ti dicono che è una follia, che si rischia solo di cadere in un baratro senza fondo. Lo dicevano allora, lo ripetono oggi.
Il doc di Loach per noi italiani, o comunque non-britannici, è davvero a prova – dura – di visione. Ma in Inghilterra, dopo un primo passaggio televisivo, è andato nelle piccole sale cinematografiche di tutto il paese e ha permesso a molti inglesi di rifare qualche conto con la propria storia, soprattutto quella presente. Un brutto documentario con dei buoni risultati.
 da www.articolo21.org

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domenica 15 settembre 2013

ESCARTOUN - Ed. Tabor

Presentato al Campeggio Notav di Venaus lo scorso 3 agosto, in attesa di nuove presentazioni

  
ESCARTOUN” - La Federazione delle libertà - 
Itinerari di autonomia, eresia e resistenza nelle Alpi occidentali,
di Walter Ferrari e Daniele Pepino, edizioni Tabor, Valsusa, agosto 2013, 128 pagine, 6.00 euro.


Nel 1713 il Trattato di Utrecht pone fine alla vicenda storica della Confederazione degli Escartons. Formalmente nata nel 1343 con la Grande Charte des Libertès Briançonnaises, essa è in realtà il culmine di un’organizzazione secolare di comunità federate tra loro, eredi di una millenaria resistenza che oppone i montanari delle Alpi ai poteri che si sono susseguiti nei tentativi di “pacificare” e “normalizzare” un territorio ribelle, sempre in lotta a difesa della propria autonomia.

Un cammino incompiuto, come dimostra la resistenza che in Valsusa continua; una resistenza che oggi, confrontandosi con i propri precedenti passi, non può che acquistare ulteriore consapevolezza e forza per le battaglie presenti e per quelle a venire.






Sommario:

I.  In Val di Susa, sulle tracce di un’insubordinazione millenaria
1.        «Questo singhiozzo ardente che passa di secolo in secolo…»
2.        Celebrare una barriera?
3.        Un’atavica consuetudine alla libertà
4.        “Anarchia feudale”?
5.        Le correnti pauperistiche e il conflitto tra autonomia e servitù
6.        La Federazione degli Escartoun
II.  «Lous Escartoun». Autogoverno, eterodossia, indipendenza montanara
1.        Premessa: tre secoli di occupazione
2.        Prologo nei Pirenei
3.        Dai monti dell’Atlante all’Occitania
4.        Catari, Valdesi… ma soprattutto diversi: realtà montanara e identità religiosa
5.        I princìpi della Grande Charte
6.        Quando finisce la libertà
7.        Quando finisce lo Stato: origini dell’indipendentismo e prospettive per il XXI secolo
III.  La République des Escartons in Alta Val Chisone. Culmine di una millenaria civiltà alpina
1.        La prima confederazione
2.        Le comunità
3.        Gli Escartons
4.        Guerre di religione e coscienza di popolo
5.        Le infiltrazioni cattoliche e la fine degli Escartons



Dall’introduzione:


«...È un grido ripetuto da mille sentinelle,
un ordine ritrasmesso da mille portavoci,
un faro acceso su mille fortezze,
un suono di cacciatori perduti in grandi boschi!
Perché, veramente, o Signore,
è la migliore testimonianza che noi si possa dare della nostra dignità
questo singhiozzo ardente che passa di secolo in secolo,
per morire ai piedi della tua eternità».
(Charles Baudelaire, "I Fari")


«Questo singhiozzo ardente che passa di secolo in secolo…»

È uno “sguardo di ricognizione” quello che abbiamo rivolto, nelle pagine che seguono, alla storia delle nostre valli. Ma non uno sguardo asettico e imparziale, come si spaccia spesso di essere quello della presunta neutralità scientifica. 

È uno sguardo che muove da una prospettiva limpida ed esplicita, che ha le sue chiavi interpretative – come dichiarato fin dal titolo – nei concetti di autonomia, eresiaresistenza

Se su tali aspetti si è dunque concentrato il nostro sguardo, ciò non equivale affatto – riteniamo – a una ricostruzione “distorta” o “arbitraria” della storia. 

Perché le libertà dei montanari (l’autonomia materiale) e la loro assunzione e difesa sia sul piano simbolico-culturale (l’eresia, il dissenso), che su quello pratico (la resistenza, la rivolta), costituiscono l’ossatura della storia delle terre alte e delle loro genti indomite, qualcosa che nemmeno secoli di storia scritta dai vincitori hanno potuto cancellare. 

Non entreremo, volutamente, nel merito del dibattito storiografico su quanto di “mitico” ci sia nelle ricostruzioni che son state fatte dell’esperienza degli Escartoun. Che una qualche “mitizzazione” ci sia stata è evidente fin dal nome con cui spesso viene ricordata la loro organizzazione comunitaria: “Repubblica”. Tale definizione è naturalmente una sovrapposizione terminologica successiva: gli Escartoun non si definirono mai così, né mai l’avrebbero potuto fare. Noi, però, non siamo archeologi e neppure storici specialisti in grado di rivelare chissà quali scoperte o novità storiografiche. Non è neppure nostro interesse farlo.

Quello che ci interessa, come obiettivo di questa pubblicazione, è contribuire a sollecitare una riflessione sulle questioni che la vicenda storica degli Escartoun chiama in causa: la questione dell’autonomia montanara, in particolare, e dell’autogoverno comunitario delle bioregioni, più in generale.

Tale prospettiva esula, crediamo, dai dettagli di ciò che l’esperienza “escartonese” riuscì effettivamente a realizzare, così come dal fatto che essa possa definirsi un percorso “autogestionario”, come affermano alcuni storici, o semplicemente un accordo sul pagamento delle imposte concesso dal sovrano, come al contrario sostengono altri.
Non che sia privo di interesse, chiaramente, questo dibattito, soprattutto per noi che in queste terre continuiamo a vivere e a cercare di strappare spazi di libertà e autonomia. Ma se anche, paradossalmente, la Federazione degli Escartoun fosse nient’altro che un mito (cosa che comunque non crediamo), non rappresenterebbe comunque, in quanto tale, qualcosa da approfondire e su cui riflettere? Perché mai sarebbe nato il mito di una “repubblica alpina” in grado di autogovernarsi, di vivere in armonia con il proprio territorio e le sue risorse, di allontanare ingiustizie e ineguaglianze? Di quali aspirazioni, di quali “forze sociali”, sarebbe espressione tale utopia
Senza voler fare analogie improponibili, un parallelo però balza alla mente con vicende a noi coeve: la “Repubblica della Maddalena”, o quella “di Venaus”, nell’ambito della lotta contro il Tav in Valsusa. Quale legittimità storiografica o etimologica hanno tali definizioni? Nessuna, evidentemente. Ma non sta proprio, forse, in tale paradossalità, nella loro natura di “mito collettivo”, il loro senso e il loro interesse? E non sono forse, in un certo senso, tanto più interessanti quanto più lontane dalla realtà (proprio in quanto segnali dell’aspirazione a trasformarla)?

Una riflessione, dunque, quella che qui proponiamo, che non si esaurisce affatto su un piano meramente “culturale”, ma che avanza una proposta decisamente “pratica”. Togliere terreno allo Stato e ai potentati economici che stanno – ormai innegabilmente – portando alla rovina i territori, le comunità, le nostre vite. Questa è la consegna. Perché quando il capitalismo arriva ad attaccare e compromettere le stesse basi della sopravvivenza, da queste bisogna ripartire, e queste si trovano sui territori in cui viviamo e che dobbiamo riconquistare. Non per creare impossibili isole felici in un mondo marcio, ma per costituire roccaforti di resistenza e di alternativa, per liberare le retrovie indispensabili all’attacco. Territori che sfuggano al soffocante controllo degli Stati, coni d’ombra nelle loro carte, in cui praticare autonomia e sperimentare libertà.
È in tale prospettiva che la vicenda degli Escartoun può essere, crediamo, un buono stimolo di ricerca; non tanto per arrivare a capire come è andata, quanto per riconoscersi, oggi, in cammino su un sentiero incompiuto, lo stesso che gli abitanti delle terre “brianzonesi” hanno senz’altro battuto prima di noi. Quello della loro resistenza millenaria; quell’ostinato sentiero che travalica le frontiere, che federa le libertà. Questo singhiozzo ardente che passa di secolo in secolo…
Confrontarci con le sue tracce, o con quel che ne rimane, può quindi aiutarci ad affrontare il nostro viaggio, oggi, con maggiore consapevolezza e forza.