SOLIDARIETA' CONCRETA

SOLIDARIETA' CONCRETA

Conto BancoPosta Numero: 1004906838 Intestato a: DAVY PIETRO - CEBRARI MARIA CHIARA

IBAN: IT22L0760101000001004906838 BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX

PAYPAL: www.laboratoriocivico.org


venerdì 16 maggio 2014

Mauro Baldrati su Carmillaonline 3




george_grosz_023_interrogatdi Mauro Baldrati
Riassunto delle puntate precedenti 1 e 2: Rick e Max, giovani attivisti del movimento No Tav, sono stati condannati a trent’anni di carcere per avere bruciato un compressore d’aria durante una manifestazione. Evasi dal penitenziario, stavano cercando di raggiungere la Slovenia, dove speravano di trovare aiuto e protezione, quando sono stati catturati dai militanti del Partito Democratico, condotti in un carcere privato della Lega Coop, e sottoposti a tortura.
Rick cercò di massaggiare l’articolazione della spalla slogata. In certi momenti il dolore diventava insopportabile. L’altra articolazione era miracolosamente rimasta intatta dopo ripetute applicazioni della tortura della corda, una pratica che risaliva all’Inquisizione. Erano procedure superate, gli specialisti dalemiani usavano i farmaci, come tutti, ma “due sporchi terroristi NO TAV” non meritavano neanche la spesa di un’aspirina.
Max aveva due dita fratturate e una ferita, causata da un chiodo conficcato nella mano destra, che si era infettata. Gemevano, ormai ridotti a ombre, spettri tra altri spettri, nella sala buia e quasi priva di ossigeno del carcere privato della Legacoop.
Non avevano rivelato nulla, nonostante i ripetuti interrogatori. D’altra parte cosa avrebbero potuto rivelare? I loro compagni del movimento erano stati quasi tutti arrestati. In quanto al “covo” sloveno, che sembrava interessare molto i dirigenti del Partito Democratico preposti alla repressione dei NO TAV , non avevano informazioni precise, a parte l’indirizzo di un bar dove “forse” avrebbero potuto incontrare qualcuno. Ovviamente i dalemiani non credevano una parola, e avevano continuato a torturarli fin quasi a ridurli in fin di vita.
“Ed ora?” chiese Rick. “Cosa succederà?”
Max non rispose. La debolezza, la disidratazione lo privavano di ogni energia.
“Ora vi processeranno” disse l’uomo barbuto che ormai impersonava il cicerone degli orrori. “Sarete condannati alla forca, o al plotone di esecuzione, o alla galera a vita. Dipende dal giudice. E’ discrezionale.”
Rick sospirò. Tutto era discrezionale, dopo che il terzo governo Superbone aveva privatizzato la giustizia, affidandola ai tribunali privati del Partito Democratico, e tutto il sistema di detenzione e pena, appaltandolo alle aziende della Legacoop.
Forse era mattina, forse era notte – la concezione del tempo era saltata nella stanza buia, senza finestre – quando la porta si spalancò e quattro energumeni dalemiani irruppero nella cella. Frugarono con le torce elettriche tra i presenti, allontanarono a calci i soliti disperati che invocavano acqua, finché individuarono Rick e Max, accasciati sul pavimento. Max fu trascinato fuori per i capelli, Rick per i piedi. In corridoio, imprecando, furono costretti a trasportarli con una barella, vista l’impossibilità di camminare.
Max si sentì afferrare per i polsi e per le caviglie, poi la testa gli girò e lo stomaco si rivoltò, perché ondeggiava in orizzontale, mentre i guardiani gridavano “oh-ohh-ho!”, e lo lanciavano in una camera, dove atterrò con violenza sul pavimento, sbattendo la testa e perdendo i sensi. Un colpo altrettanto violento lo fece per un attimo rinvenire: il corpo di Rick che precipitava su di lui.
Quando riaprì gli occhi, forse per gli schiaffi che qualcuno gli sferrava, forse per l’acqua che gli veniva versata sulla faccia, vide varie persone intorno a lui. Numerosi occhi scuri lo fissavano. Volti giovani, ghignanti. Qualche donna, giovane e carina, lo indicava con un dito e ridacchiava.
Renziani.
Non c’erano dubbi.
Erano caduti in mano ai renziani.
Ora non esistevano più alternative.
Allo stupro selvaggio.
“Ma come sono messi questi qua?” disse una voce. Chi aveva parlato sedeva indolente su una poltrona rossa, con una coperta sulle gambe. Era un tipo scuro di capelli, dalla fisionomia inconfondibile: il deputato sosia di Riccardo Schicchi, lo stupratore ufficiale del Partito Democratico, colui che rivendicava lo ius primae noctis. Sì, era davvero finita. L’ultimo atto. “Non vedete che sono coperti di merda e di pidocchi?” Risatine e squittìì tra i renziani. “Andate subito a lavarli. E disinfettateli. E fategli anche un’iniezione di metamfetamina, sono morti in piedi!”
george-grosz-hintergrund-p7I vestiti, fradici e puzzolenti, vennero tagliati con le forbici. Poi Rick e Max furono posti di fronte a un muro rivestito di piastrelle, e un guardiano li irrorò con un idrante. La pressione era elevata, e l’acqua quasi bollente, oltre che odorosa di disinfettante.
In condizioni normali sarebbero stramazzati al suolo, ma l’anfe correva furiosa nelle loro arterie, lanciava staffilate lungo la schiena, scariche nello stomaco, e li teneva in piedi con la sua forza bruta.
Nudi, gocciolanti, tremanti, vennero condotti per corridoi rivestiti di moquette, tra i lazzi, le risate e gli insulti di chi li incrociava. Qualcuno li spintonò, altri li colpirono con calci o scapaccioni. Ci fu chi sputò loro in faccia.
Di nuovo nella camera, di nuovo di fronte al sosia di Riccardo Schicchi, che era sempre seduto mollemente sulla poltrona.
“Inchinatevi di fronte all’onorevole presidente!” urlò uno dei giovanotti renziani. Un colpo dietro le gambe, sferrato con una mazza, li fece stramazzare in ginocchio.
Nessuno si mosse. Nessuno parlò.
Tutti aspettavano.
Soprattutto non parlava, né si muoveva, il sosia di Riccardo Schicchi.
“Sono due cadaveri” disse infine, con voce piatta. “Mi fa schifo farmi succhiare l’uccello da due zombies. Dategli qualcosa da mangiare, e da bere. Che prendano un po’ di colore.”
Mani li afferrarono, li trascinarono. Con calci, sberle e pizzicotti li costrinsero a mettersi a quattro zampe, poi vennero poste loro di fronte due ciotole a testa: una conteneva una poltiglia di un colore marrone scuro, l’altra acqua.
“Mangiate, cuccioli bastardi!”
Max iniziò a ingoiare la poltiglia. Era cibo per cani, spezzatino, polpette. Squisito. Saporito, tenero. Non mangiavano qualcosa di solido da settimane. Li avevano nutriti con una specie di brodo andato a male, dove i guardiani dalemiani orinavano.
Bere era più complicato. Come appartenenti alla specie umana non disponevano di una lingua sovradimensionata come i canidi, per cui dovevano succhiare, mentre i renziani li molestavano di continuo con pizzicotti e sculacciate.
Mangiare e bere li rinfrancò, e diede nuovo impulso alla forza motrice dell’anfe, che ruggiva nelle vene e negli organi interni.
Nuovamente in ginocchio davanti al sosia di Riccardo Schicchi.
In attesa.
Dell’inevitabile.
Il sosia di Riccardo Schicchi, con un gesto brusco, gettò via lo coperta. Sotto era nudo. Un pene di ragguardevoli dimensioni, già eretto, sembrava volersi protendere verso di loro.
“E ora” disse, con uno dei suoi ghigni linguacciuti, “datevi da fare, miei piccoli, adorabili, disgustosi maialini.”
george-grosz-hintergrund-p2Fecero loro indossare una specie di djellabah, una tunica bianca larga, svolazzante, pulita e ruvida. Così abbigliati, a piedi nudi, percorsero per l’ennesima volta lunghi corridoi, fino a una doppia porta di legno chiaro, spalancata, al di là della quale si intravedeva un tavolo di legno scuro.
Vennero condotti in un spazio recintato da sbarre di legno, alte circa un metro. Non c’erano sedie, per cui restarono in piedi.
Ancora confusi, anche per la metamfetamina che, in fase calante, confondeva loro i sensi, lanciarono occhiate in tutte le direzioni, occhiate voraci, forse disperate, per cercare di capire, o per avere conferme: alla loro destra, dietro a un tavolo piccolo, sedevano due persone, un uomo e una donna. Un altro uomo dall’aria indefinibile, con la testa bassa, sedeva a sinistra. Altri erano i piedi, addossati ai muri. E di fronte, dietro al tavolo di legno scuro, sedeva un tipo coi capelli grigi, una barbetta curata, un ciuffo ribelle da intellettuale sulla fronte.
Max lo riconobbe subito: era uno dei ministri plenipotenziari di Superbone, che si dilettava a presiedere i tribunali.
Perché quello era un tribunale.
Dunque li stavano processando.
E quel giudice, di cui non ricordava il nome, era famoso per la sua mancanza di pietà. Tutti ne parlavano. Non era cattivo, cioè non era dotato del sadismo naturale dei dalemiani, o dell’arroganza e della crudeltà adolescenziali dei renziani; semplicemente era del tutto privo di compassione umana.
“Apriamo il procedimento contro Ricciardi Massimo e Robecchi Riccardo” disse il giudice, fissandoli. I suoi occhi erano freddi, calcolatori. “Siete accusati di terrorismo, sabotaggio, devastazioni, attentato dinamitardo, resistenza a pubblico ufficiale, nonché dell’evasione violenta dal penitenziario di Piacenza.”
Violenta? Ma che stava dicendo, pensò Max. Semplicemente un secondino aveva dimenticato la porta aperta.
“La parola all’accusa” disse il giudice, indicando l’uomo e la donna seduti sulla destra.
Si alzò l’uomo, che si portò di fronte al tavolo.
“I due terroristi qui presenti sono tristemente famosi per le loro reiterate azioni di sabotaggio, nel corso delle quali ci sono stati numerosi feriti, oltre che danni molto gravi ad attrezzature tecniche, macchinari, utensili. Quando sono evasi dal penitenziario un agente di custodia, da loro aggredito, è rimasto gravemente ferito e rischia l’invalidità permanente.”
L’avvocato dell’accusa stava per continuare, ma il giudice alzò una mano. “Basta così, avvocato, grazie. Ho letto i rapporti. Ora voglio sentire la difesa. Prego, avvocato.”
Si alzò l’uomo che si trovava a sinistra. Aveva un’aria dimessa, un’espressione infelice sul volto pallido. Le spalle, gracili, erano spioventi, forse per l’abitudine di tenere la schiena curva. La corporatura, i modi, l’età, l’energia compressa, la postura depressiva lo qualificavano senza alcun dubbio come un fassina-civatiano.
“Signor giudice” esordì con voce bassa, poco più che un sussurro, “io… non sarei d’accordo con certi sistemi. Secondo me… dovremmo garantire qualche garanzia in più… ecco, agli accusati…”
Il giudice ebbe un moto di fastidio che fece immediatamente tacere l’avvocato della difesa.
Secondo me” disse, con voce tagliente, facendogli il verso. Fissò Rick e Max, fissò l’avvocato. I suoi occhi bruciavano di gelido disprezzo. “Sa cosa le dico avvocato? Secondo me lei deve piantarla di rompere i coglioni e fare il suo dovere! E’ chiaro?”
L’avvocato fassina-civatiano ascoltava immobile, con le braccia inerti lungo i fianchi.
“Dunque ha qualcosa di interessante da dire? Un’obiezione? Vuole pronunciare un’arringa?”
L’avvocato fassina-civatiano non alzò il capo. Parlò rivolto al pavimento. “No signor giudice. La difesa non ha nulla da aggiungere.”
“Oh. Questo si chiama parlare. Bene, torni al suo posto allora.”
L’avvocato, come un automa, raggiunse il suo tavolo, dove restò immobile, col capo chino, le mani giunte.
Il giudice tornò a fissare Rick e Max. I gelidi occhi grigi erano rasoi di ghiaccio che li tagliavano a fette.
“Ricciardi e Robecchi” disse, dopo una lunga, minacciosa pausa. “Col vostro agire avete creato gravissimi danni alla crescita e al progresso di questo paese. La vostra filosofia è solo distruttiva, i vostri cosiddetti ideali confusi e negativi. Il vostro egoismo è criminale. Voi non siete nulla, non rappresentate nessuno, a parte il vostro rancore, la vostra violenza e il vostro isolamento. Per cui, sentiti i rappresentanti dell’accusa e della difesa, ed esaminati gli atti, questa corte vi giudica colpevoli di terrorismo, con l’aggravante dell’odio sociale. La pena adeguata ai criminali sociali come voi sarebbe il plotone di esecuzione, ma il nostro Presidente del Consiglio, nella sua lungimiranza, ci sta chiedendo di essere magnanimi, comprensivi a generosi. Pertanto vi condanno all’ergastolo, da scontare ai lavori forzati, senza sconti di pena né concessione di permessi, presso le aziende della filiera agro-alimentare Figa. I vostri guadagni saranno interamente confiscati, per ripagare almeno in parte i danni che avete provocato al vostro paese. La seduta è tolta.”
E sferrò un colpo sul tavolo con un martelletto, proprio come nei film.
George-Grosz“Magnanimi un corno” disse Rick, senza smettere di fissare il soffitto della cella. “Il fatto è che Semoletti ha bisogno di nuovi schiavi.”
“Semoletti, eh?” disse Max, che era steso sulla branda a castello sottostante. Dalla sua posizione vedeva la finestra con le sbarre. La cella era piccola, ma pulita. Erano in attesa del trasferimento al campo di lavoro, li avevano ripuliti, curati, nutriti. Semoletti li voleva in forze, i lavoranti.
L’imprenditore miliardario del Partito Democratico, uno dei grandi spin-docktor di Superbone, era continuamente in espansione con la sua Figa (Federazione Italiana Grastronomi Agricoltori. Il nome era dovuto al fatto – secondo l’idea di Semoletti, peraltro suffragata dai risultati di mercato – che i prodotti italiani all’estero con quel marchio avrebbero goduto di uno straordinario appeal). La manodopera scarseggiava. Superbone aveva dato disposizioni che gli venissero assegnati i detenuti, oltre ai pochi immigrati che ancora si azzardavano a mettere piede in Italia, dove venivano immediatamente catturati e ridotti in schiavitù. Era leggendaria la sua entrata in scena in Puglia, con lo scopo di impadronirsi di tutta la produzione agroalimentare. Suoi inviati si erano presentati dai boss della Sacra Corona Unita intimando loro di aderire alla Figa. A Semoletti interessava soprattutto la rete di capolarato, che garantiva ogni giorno centinaia di braccianti a basso costo, senza contratto. I boss scoppiarono a ridere. Erano loro i padroni, chi cazzo credeva di essere questo Semoletti?
Il problema era serio, e andava risolto in fretta. Una guerriglia con la mafia pugliese avrebbe avuto effetti deleteri sul governo “del fare”. Così il Premier Superbone ebbe un’idea geniale: affidò le operazioni a un gruppo di nuova formazione, di cui si iniziava molto a parlare: i mercenari montiani. Spietati, efficienti, erano considerati assolutamente affidabili.
A bordo di SUV corazzati, armati con fucili automatici e lanciarazzi anticarro RPG, prelevarono i boss dalle ville fortificate e li giustiziarono sul posto con un colpo alla nuca. Poi, secondo la tradizione antica, i famigliari, i parenti, gli amici presenti furono tutti massacrati, e le ville date alle fiamme. Immediatamente dopo i sopravvissuti, coi loro affiliati, divennero dei “collaboratori” della Figa.
I giorni seguenti Superbone si presentò agli italiani dal video del network dove, adulato e magnificato dai “giornalisti” televisivi, annunciò con enfasi e un numero incalcolabile di sorrisi che la mafia pugliese era definitivamente smantellata. Secondo i sondaggi il suo indice di popolarità passò dall’82.54 all’89,91%.
“Così ora siamo diventati schiavi di Semoletti” disse Rick, con la sua migliore aria fatalista.
“Poteva andare peggio” ribatté Max. “Potevano impiccarci, strangolarci con la garrota. Ce la faremo.”
“Ah, sì? Certo, lavorando dieci-dodici ore al giorno sette giorni su sette. Beh, almeno ci daranno da mangiare, giusto?”
Sarcarsmo nella sua voce. Max si alzò in piedi, costrinse anche l’amico a fare altrettanto.
Lo abbracciò, lo strinse forte.
“Ce la faremo ti dico. Fuggiremo. Siamo sempre fuggiti. Non riusciranno a tenerci.”
“E poi?” disse Rick, con la bocca premuta contro la sua spalla. “Dove andremo? Ci cattureranno di nuovo.”
“Non è detto. Abbiamo imparato molto, nel frattempo. Cammineremo di notte, niente passaggi, niente autostrada. Andremo in Francia. Si sta creando una resistenza, ce la faremo ti dico. Abbatteremo i mostri, distruggeremo i demoni.”
Rick respirava forte. Il suo corpo era scosso da una vibrazione, come una scarica elettrica.
Cercava di nascondere la testa. Cercava protezione.
Forse piangeva.
Oppure rideva.
(Fine?!?!)
(Le immagini sono di George Grosz)
[Le vicende qui narrate sono finzioni letterarie. In esse compaiono nomi e circostanze reali in qualità di pure occasioni narrative. I nomi di personaggi e di enti del mondo della politica e dell’economia vengono usati soltanto ai fini di denotare figure, immagini e sostanze dei sogni collettivi che sono stati formulati intorno ad essi, e si riferiscono quindi a un ambito mitologico che non ha nulla a che vedere con informazioni o opinioni circa la verità storica effettiva degli avvenimenti o delle persone su cui questo racconto elabora una pura fantasia]

Nessun commento:

Posta un commento