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venerdì 18 luglio 2014

Susan Abulhawa su The Indu, tradotto da Internazionale


Postiamo da Internazionale n. 1058 del 4 luglio 2014 

Il valore dei figli, di  Susan Abulhawa, The Hindu, India

I corpi dei tre giovani israeliani scomparsi il 12 giugno sono stati ritrovati in una fossa scavata frettolosamente ad Halhul, a nord diHebron. Da quando Naftali Fraenkel, Gilad Shaar ed Eyal Yifrah sono scomparsi da Gush Etzion, una colonia ebraica in Cisgiordania,Israele ha messo sotto assedio quattro milioni di palestinesi facendo irruzione nei villaggi, perquisendo case e uffici pubblici, lanciando raid notturni, ferendo e uccidendo. La Striscia di Gaza è stata ripetutamente bombardata da aerei da guerra. Finora sono stati arrestati più di 422 palestinesi, tra cui Samer Issawi, l’uomo che aveva condotto uno sciopero della fame di 266 giorni per protestare contro un precedente arresto arbitrario. Almeno sei palestinesi sono stati uccisi e centinaia feriti.

Le università e gli uffici dell’assistenza sociale sono stati perquisiti e costretti a chiudere, i computer e tutte le apparecchiature sono stati distrutti o rubati, documenti pubblici e privati sono stati confiscati. Questi crimini sono la politica ufficiale dello stato israeliano messa in atto dai suoi militari, e si aggiungono alle violenze contro le persone e le proprietà commesse dai coloni, che nelle ultime settimane hanno intensificato gli attacchi contro i palestinesi. Dopo la conferma della morte dei tre giovani, il 30 giugno, Israele ha giurato vendetta. Il ministro dell’economia Naftali Bennett ha dichiarato: “Non c’è pietà per chi ha ucciso dei ragazzi. È il momento dell’azione,non delle parole”.
Anche se nessuna fazione palestinese ha rivendicato il rapimento – e quasi tutte, compresa Hamas, hanno negato il loro coinvolgimento –il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è convinto che Hamas sia responsabile. Le sue accuse però sono state accolte consospetto, soprattutto dopo che Netanyahu ha espresso pubblicamente lasua rabbia per il riavvicinamento tra i partiti Al Fatah e Hamas, e per l’accoglienza positiva che questo accordo ha ricevuto dall’amministrazione Obama.

UN’ONDATA DI CONDANNE

I titoli della stampa occidentale sui tre ragazzi rapiti hanno sempre parlato di “caccia all’uomo” e di “operazione dell’esercito”. Le storie di quei giovani innocenti sono apparse su tutti i mezzi d’informazione e le parole dei loro genitori sono state riportate con tutto il loro carico di angoscia.
Gli Stati Uniti, l’Unione europea, l’Onu, il Regno Unito, il Canada e il Comitato internazionale della Croce rossa hanno condannato il rapimento e chiesto il rilascio immediato e incondizionato dei ragazzi.
Il ritrovamento dei cadaveri ha suscitato un’ondata di proteste e condoglianze. Il presidente statunitense Barack Obama ha dichiarato: “Come padre,posso immaginare l’indescrivibile dolore dei genitori di quegli adolescenti. Gli Stati Uniti condannano fermamente questo insensato atto di terrorismo contro tre giovani innocenti”.
Raramente il mondo reagisce in questo modo quando muoiono dei ragazzi palestinesi. Poco prima della scomparsa dei tre israeliani, l’omicidio di due adolescenti palestinesi era stato ripreso da una telecamera. Una serie di prove – tra cui le pallottole usate e un video girato dalla Cnn del momento in cui un cecchino premeva il grilletto e uno dei ragazzi cadeva a terra – ha dimostrato che sonostati uccisi a sangue freddo dai soldati israeliani. Ma i leader mondiali e le istituzioni internazionali non hanno lanciato condanne né chiesto giustizia per quei ragazzi.
Nessuno sa ancora con certezza chi abbia ucciso i tre israeliani. Ma questo non importa, perché in Israele sembra che tutti chiedano il sangue dei palestinesi. E non importa che i tre ragazzi studiassero in un insediamento illegale, costruito sui terreni rubati ai palestinesi del villaggio di Al Khader. Una buona parte dei coloniche vivono in quell’insediamento è composta da statunitensi, molti dei quali provenienti da New York, come uno dei ragazzi uccisi. Queste persone hanno il privilegio di mantenere la doppia cittadinanza, di avere una casa nel loro paese e una in Palestina,mentre i palestinesi vivono nei campi profughi, nei ghetti delle città occupate o in esilio.
Quasi ogni giorno i ragazzi palestinesi vengono aggrediti o uccisi, ma i mezzi d’informazione occidentali raramente ne parlano. Le madri palestinesi sono spesso accusate di averli mandati a morire odi non averli tenuti in casa lontano dai cecchini israeliani. Ma nessuno ha puntato il dito contro Rachel Fraenkel, la madre di uno dei tre giovani rapiti. Nessuno le ha chiesto perché ha deciso di trasferirsi in Cisgiordania dagli Stati Uniti per vivere in una colonia isolata costruita su un terreno confiscato. Nessuno la accusa di aver messo in pericolo la vita di suo figlio.
Nessuna madre dovrebbe veder morire suo figlio. Nessuna madre e nessun padre. Ma questo non vale solo per i genitori ebrei. La vita dei figli dei palestinesi non è meno preziosa e la loro perdita non è meno devastante. Eppure c’è una terribile disparità tra il valore che viene attribuito alle vite degli uni e degli altri.
In Israele gli ebrei sono favoriti per quanto riguarda i posti di lavoro, le opportunità di studiare e l’acquisto e l’affitto delle case. Inoltre non devono sottostare alle innumerevoli ordinanze dell’esercito che impongono limiti agli spostamenti, all’uso dell’acqua, all’accesso ai generi alimentari, all’istruzione,alle possibilità di matrimonio e all’indipendenza economica.

SEMPRE UNA RISPOSTA
Le violenze commesse dagli israeliani nelle ultime settimane sono generalmente accettate. Anzi, tutti se le aspettano. Il terrore che l’esercito israeliano scatena contro i palestinesi è, come sempre succede, ammantato della legittimità delle uniformi e delle armi tecnologicamente avanzate.
Per i mezzi d’informazione di tutto il mondo la violenza israeliana è sempre una “risposta”, come se invece la resistenza palestinese non fosse una risposta all’oppressione israeliana.
Quando i figli dei palestinesi lanciano sassi contro i carri armati e le jeep israeliane che silano nelle strade, quando vengono uccisi dai soldati o dai coloni, ci si aspetta che i loro genitori si assumano la responsabilità della loro morte. Quando i palestinesi si rifiutano di arrendersi, sono accusati di essere dei cattivi “partner di pace”, che meritano di perdere le loro terre, affidate in uso esclusivo ai coloni ebrei. Quando prendono le armi, sono terroristi della peggior specie. Quando protestano pacificamente, sono dei rivoltosi a cui bisogna sparare.Quando discutono, scrivono e boicottano il sistema, sono antisemiti da mettere a tacere, espellere, emarginare o processare.
Ma questo non sembra avere importanza. Conta solo che siano stati uccisi tre adolescenti israeliani. Non importa chi è stato e in quali circostanze, e i palestinesi dovranno soffrire per questo più di quanto non abbiano fatto finora.

Susan Abulhawa è una scrittrice d’origine palestinese che vive negli Stati Uniti.
In Italia ha pubblicato Ogni mattina a Jenin (Feltrinelli 2011).

mercoledì 9 luglio 2014

CAMPEGGIO ITINERANTE 17-27 LUGLIO

LA VALSUSA IN MARCIA CONTRO IL TAV
 LA VALSUSA CONTRO TUTTE LE NOCIVITÀ

Campeggio itinerante da Avigliana
a Chiomonte, dal 17 al 27 luglio2014

Nel 2006 il Movimento NO TAV della Valle di Susa  fece una marcia sino a Roma incontrando le realtà in lotta a difesa dei propri territori e i numerosi sostenitori e amici diffusi in tutta Italia.

Oggi il Movimento NO TAV della Valle di Susa chiama tutti i movimenti di lotta,  tutti gli amici e i  propri sostenitori ad una marcia in Valle di Susa.

Tappe della marcia: Avigliana, Vaie, San Didero, Bussoleno, San Giuliano di Susa, Venaus,  Chiomonte.

Camminata a bassa velocità per dire no alle grandi opere, inutili e dannose,  imposte alla popolazione, causa della devastazione delle nostre valli e dello spreco di denaro pubblico.

Camminata  contro il controllo e la militarizzazione del territorio, per rispedire al mittente l'attacco repressivo contro il Movimento NO TAV. 
Per ribadire che vogliamo Chiara, Claudio, Mattia, Nicco, Forgi e Paolo liberi insieme a noi.
Per informare e informarsi, per partecipare e condividere.

Per sostenere la Resistenza NO TAV..... perché insieme si può battere il progetto Tav ..... perché insieme si vince.

Ritrovo il 17 luglio ad Avigliana dalle ore 15 in poi, presso il VisRabbia per posizionamento di tende e/o camper e sistemazione dei partecipanti.

Ore 18 Festa di apertura del campeggio itinerante “La Valsusa in marcia contro il Tav” in Piazza del Popolo. Banchetti informativi, mostre fotografiche, cibo condiviso, interventi.
Concerti con Alessio Lega e Ice Eyes Band.





Non delegare.... Partecipa!
MOVIMENTO NO TAV















mercoledì 2 luglio 2014

D-Day di Sandro Moiso su CarmillaOnLine




di Sandro Moisod-day
E’ stato commemorato nei giorni scorsi ciò che dal punto di vista del pensiero antagonista non può sembrare altro che l’inizio del trionfo su scala europea del controllo indiretto del capitale finanziario sulla forza lavoro e sul territorio e della, momentanea, sconfitta del controllo diretto da parte dal capitale industriale sulla manodopera e qualsiasi tipo di risorsa economica.
Niente di più e niente di meno. Stati Uniti e Gran Bretagna contro Germania, in una sorta di campionato mondiale che aveva come unico obiettivo finale quello delle forme che il comando sul lavoro avrebbe dovuto assumere dopo la fine delle ostilità. Che, però, non sono mai finite.
Come ben dimostrano i conflitti scoppiati ancora una volta qui in Europa, con buona pace di coloro che insistono col dire che l’attuale unità europea abbia saputo garantire un periodo di stabilità durato più di sessant’anni.
Le guerre balcaniche che hanno viste coinvolte nei primi anni novanta, subito dopo la riunificazione tedesca, la Serbia, la Slovenia, la Croazia e la Bosnia-Erzegovina. Poi il Kosovo e oggi, sempre più allargando l’area dei conflitti europei, l’Ucraina.
Guerre in cui i paesi europei non possono dirsi estranei e nemmeno gli Stati Uniti.
Guerre, la cui responsabilità, è stata scaricata interamente sui conflitti inter-etnici e sugli odi politici e religiosi antichi e locali. Soltanto per tener nascosti agli occhi dei cittadini europei, ammaliati dal discorso democratico e da un benessere ormai scomparso, la reale portata imperiale della competizione militare ed economica in corso allora come oggi.
Giulio Tremonti, vent’anni fa circa, grosso modo ai tempi delle rivolte in Albania contro il sistema delle piramidi finanziarie che avevano segnato il trapasso da un socialismo disumano al capitalismo delle migrazioni e della miseria, aveva affermato su una prestigiosa rivista politica americana, la Aspen Review, che occorreva riportare la povertà dell’Est nelle buste paga dell’Ovest.
Ebbene, ci sono riusciti! Ma lo scontro per chi deve comandare in Europa la forza lavoro, per le forme di sfruttamento che questa deve subire e per i vantaggi derivanti dal suo basso costo prosegue, nonostante le fasulle celebrazioni e le farsesche cerimonie svoltesi nei giorni scorsi.
Non saranno, però, i beceri nazionalismi a risolvere tale problema, mentre il loro progressivo diffondersi non è altro segno che dell’espandersi di quello scontro anche nel cuore dei paesi un tempo più ricchi. Esattamente come successe a partire dai Balcani tra la fine del 1990 e i primi mesi del 1991.
Il nostro D-Day non c’è ancora stato. Nonostante i tredicimila morti tra i militari degli eserciti contrapposti e i ventimila morti tra i civili della Normandia nessuna liberazione è giunta davvero fino a noi.
Ci resta in compenso la memoria dei bunker tedeschi del Vallo Atlantico, oggi sfruttati dal punto di vista di un turismo che sa di necrofilia e che all’epoca rappresentarono, al momento della loro costruzione, una notevole fonte di arricchimento per le ditte coinvolte nella loro realizzazione.
Realizzazione che, guarda caso, vide l’impiego di grandi quantità di calcestruzzo e di manodopera sottopagata o non pagata del tutto, costituita in massima parte da volontari, lavoratori forzati o prigionieri.
Vi ricorda qualcosa? Magari l’Expo? Oppure il Mose o il TAV? Non sbagliate.
val clarea
I nostri bunker ci sono ancora tutti. Come le centinaia di militanti No TAV imputati nei processi intentati contro di loro dalla Procura di Torino sanno bene ancora oggi.
Il lavoro coatto esiste ancora e chi si oppone alle sue logiche e definito ancora terrorista ebanditen.
La devastazione militare dei territori c’è ancora tutta. Così come ci sono ancora tutti i campi circondati da filo spinato e controllati da mezzi blindati e truppe in assetto di guerra. Sia che si tratti di presidiare un inutile e costosissimo buco scavato nelle montagne, sia che si tratti di tener rinchiusi come animali gli immigrati sbarcati sulle nostre coste.
No, il nostro D-Day non è ancora venuto.
Perché il nostro D-Day vedrà la fine di ogni bunker, di ogni menzogna, di ogni dittatura sul lavoro e di ogni devastazione dell’ambiente. Solo quello, allora, celebreremo.
E sarà una grande, grandissima festa!
N. B.
Il presente intervento è stato letto domenica 8 giugno davanti al cantiere TAV in Val Clarea nell’ambito delle iniziative promosse in occasione della manifestazione “Una montagna di libri contro il TAV” giunta ormai alla sua terza edizione grazie alla creatività, alla volontà, al coraggio e alla determinazione dei militanti del Movimento No TAV, della Libreria Città del Sole di Bussoleno, della Tabor Edizioni e dell’Associazione ArTeMuDa. A loro rivolgo ancora il più sincero ringraziamento per avermi permesso, per qualche giorno, di far parte di una delle comunità umane migliori tra tutte quelle che ho conosciuto nel corso della mia vita.